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Annecy 2017

Una volta avevo un blog, e i post meno popolari erano i report su Annecy. Quindi, dopo tre anni di silenzio, la cosa migliore è tornare con questi, no? Benritrovati, genti!

La crisi del cortometraggio e l’avvento dei CIAPPI

L’elemento più notevole del festival di animazione di Annecy 2017 è un concorso di cortometraggi decisamente mediocre. Niente scuse del tipo “il concorso non era male, ma mancavano i corti di grande spessore” o “luci e ombre quest’anno ad Annecy”, la media è stata decisamente bassa. Abbiamo visto una quantità spaventosa di corti di una razza che io ho battezzato CIAPPI: Corto Indipendente Artistoide Parodistico (Purtroppo Involontariamente), ovvero quei cortometraggi che sembrano le parodie delle seghe mentali artistoidi: di solito in bianco e nero, senza una trama comprensibile, spesso senza dialoghi, in tecniche a volte astruse (pittura su vetro, schermo di spilli), con musiche dissonanti (rumore bianco o violini stridenti), occasionalmente con un tema “alto” (razzismo, guerra, violenze sui bambini etc.) trattato senza avere nulla da dire di interessante. Una bella fetta dei corti visti erano di questa foggia. Ouch.
La domanda è: nel 2017 i corti animati sono così o è stata la selezione del festival a seguire questa direzione? Difficile dirlo. E’ vero che l’animazione sta vivendo un periodo di ricchezza, vista la quantità di lunghi e serie TV che vengono prodotti, ed è probabile che chi esce dalle scuole di animazione si dedichi alle ricche produzioni invece che andare sull’animazione “di qualità” dei cortometraggi e seguire un percorso artistico personale. Non si fan soldi coi cortometraggi. Il fatto che i cortometraggi di fin d’ètudes sembra che siano freschi e ricchi di idee come non mai è un indizio in questa direzione. E infatti i sospetti sulle responsabilità di Marcel Jean, direttore artistico del festival, non sono leggeri (a sinistra, il malfattore). Ha abolito il concetto di comitato di selezione, ha fatto un pastrocchio ghettizzando i corti per bambini, quelli più sperimentali e addirittura quelli delle nazioni emergenti (non ci credo ancora!), e evidentemente sta dando un’impronta molto forte sulla sua visione del cortometraggio. Ma sono solo ipotesi: probabilmente il modo migliore per dirimere la questione è andare a un festival differente e annusare che aria tira. Vedremo se ci riusciamo!

A parte i CIAPPI, comunque, non ci sono stati capolavori in concorso, ma sicuramente opere degne di essere menzionate. Il mio corto preferito è After All di Michael Cusak (a destra), che parla dei pensieri di un uomo che riordina la casa della madre morta e si confronta con lei; dal tema curiosamente simile Pépé le morse di Lucréce Andreae, in cui una famiglia rende omaggio al nonno morto che aveva la passione della spiaggia in tutte le stagioni; l’unico corto tridimensionale dell’anno, Aenigma di Antonios Ntoussias e Aris Fatourus, è un bellissimo 3d con grande profondità che esplora in animazione quadri che definirei più metafisici che surrealisti. Un gran bel lavoro. Cito infine Wednesday with Goddard di Nicolas Menard, un’assurda e inconcludente storia di ricerca di Dio ricca di gag e invenzioni visive.

Il vincitore del cristallo è un musical svedese, Min Börda, di Niki Lindroth Von Bahr, che parte bene con una scena surreale di acciughe solitarie in un albergo, ma poi si perde nelle successive cercando di dirci qualcosa ma senza riuscirci. Cosa? Non lo so! Notevole anche il fatto che pure il secondo posto (Kotu Kiz di Ayce Kartal), il terzo (L’Ogre di Laurène Braibant) e il premio speciale Xiberas (Splendida Moarte Accident di Sergiu Negulici) non sono CIAPPI. Speriamo che la giuria abbia dato un segnale per la selezione dell’anno prossimo.

 

Lungometraggi: la riscossa del Giappone

Nove lungometraggi in concorso non sono pochi se li si vuole vedere tutti, e io ci ho provato. Solo in uno dei nove me ne sono andato dopo mezz’ora da tanto mi faceva cagare, e, indovinate un po’? E’ stato il vincitore! Ma a parte questo, il concorso dei lunghi è stato molto variegato e interessante. Diverse cose non mi sono piaciute, ma è stato un concorso piacevole da vedere, e vale la pena menzionare tutti i film.

In this corner of the world di Sunao Katabuchi prende uno dei temi cari ai giapponesi, Hiroshima, e la mostra da un punto di vista differente, di una ragazza, giovane moglie, impegnata nella sua quotidianità a sopravvivere alle ristrettezze della guerra. E’ un film delicato, pastelloso, con una prospettiva anomala. Pur imperfetto nella sua realizzazione (un po’ troppo lungo, un finale sbagliato, disegni non sempre all’altezza) vanta una buona regia, personaggi ben costruiti, una narrazione molto ben strutturata e tanta empatia per la piccola Suzu. Mi è piaciuto molto. Secondo me lo vedremo in Italia, se vi capita dategli una chance (nota a margine: si notava come, tuttavia, i giapponesi non sembrano prendersi responsabilità per la guerra a cui hanno partecipato e del loro periodo militarista, ma solo vedersi come vittime)

Ethel and Ernest di Roger Mainwood parla della vita di una coppia, i genitori dell’autore del fumetto da cui è tratto il film, nell’Inghilterra dagli anni ’30 ai ’70, testimoniando l’ascesa della classe media nel dopoguerra. E’ moderatamente divertente, molto british, disegnato con delicatezza, ma anche veramente troppo impalpabile e tutto sommato quasi inutile.

Tehran Taboo di Ali Soozandeh (a destra) è un film in rotoscopio che parla della vita delle donne nell’Iran contemporaneo: prostituzione, soprusi dei maschi, corruzione, aborti, schiavismo. Nonostante il tema pesante, l’intreccio delle storie delle varie protagoniste è ben congegnato e privo del vittimismo e il “mugugno” in cui è facile cadere in situazioni simili. Perché farlo in animazione? Per creare un minimo di distacco. Funziona, tutto sommato.

Big Fish & Begonia di Xuan Liang e Chun Zhang è il primo kolossal di animazione cinese. E’ un miscuglio di leggende con divinità ed esseri soprannaturali a stufo, con dei ex-machina (letterali) uno dietro l’altro, in animazione a tratti in effetti spettacolare. Tuttavia, la storia confusa e poco interessante, la sceneggiatura a tratti pretestuosa e una regia poco incisiva lo rendono complessivamente un prodotto piuttosto scarso, ma è un ottimo indizio del fatto che in Cina c’è fermento anche nel’animazione.

Loving Vincent , di Dorota Kobiela e premio del pubblico, vince anche il premio masochismo. Questa rivisitazione degli ultimi giorni di Van Gogh in stile Citizen Kane è stata fatta con 35.000 dipinti ad olio fatti da uno stuolo di schiavetti, che hanno riprodotti le immagine prima filmate in uno stile che scimmiotta Van Gogh. L’effetto è identico a quello del rotoscopio, quindi con un’animazione che è molto fluida ma appare “strana” e innaturale. Sfugge il senso dell’operazione, se non quello più fine a se stesso di esperimento, e il lato visivo stanca molto rapidamente, rendendo la trama, che peraltro non brilla per incisività, difficile da seguire. Mi è piaciuto poco, ma gli animatori in sala ne sono andati matti.

A silent voice di Naoko Yakama (a sinistra) è stato il mio film preferito. Ha premesse piuttosto consuete, nel tipico mondo scolastico giapponese, ma la storia di bullismo nei confronti di una ragazza sorda prende rapidamente una piega imprevista molto interessante, mostrando il punto di vista del bullo; in particolare diversi personaggi sono ben approfonditi, lontani dai soliti stereotipi, e la trama affronta argomenti come l’incomunicabilità, la mancanza di figure genitoriali, il suicidio, il disorientamento dei ragazzi con molto acume e grazia. Un piccolo gioiello, sono convinto che verrà distribuito anche in Italia.

Lou over the wall di Masaki Yuasa è stato il vincitore. E’ la versione sfigata di Ponyo, che già non è certo il capolavoro di Miyazaki, disegnata in modo sgraziato e raccontata in un modo che mi ha irritato. Avrò sbagliato io, d’altronde è noto che NCUCDC.

Zombillénium di Arthur De Pins e Alexis Decurd (a destra) è stato il vincitore morale e lo sconfitto dell’anno. Vincitore, perché code lunghe come per questo film non si sono mai viste, e le ovazioni alla fine del film han fatto venire giù il cinema. De Pins, d’altronde, è un beniamino di Annecy, è cresciuto qui. Però il film non ha vinto niente! Questa storia di zombi e altri mostri molto inusuale ha un 3d originale, a cui serve un pochino per abituarsi ma che poi si rivela efficace, ma anche una sceneggiatura piuttosto bucherellata. 80′ a palla di cannone, molto divertimento: una produzione per me riuscita.
Infine, Animal Crackers di Tony Bancroft & c. , è un mediocre e confuso prodotto in 3d, probabilmente tra i nove in concorso l’unico privo di elementi di interesse. Fatevene una ragione, il circo fa cagare a tutti!

 

Fuori concorso, ci tengo a segnalare un film coreano molto particolare, I’ll just live in Bando di Yong Sun Lee (a sinistra), che parla delle vicissitudini di un padre di famiglia, insegnante precario e attore fallito, e i suoi tentativi di elevare la sua condizione sociale. Come molti film animati coreani, ritrae una società crudele e classista, in cui il più forte soverchia il più debole, ma in questo caso c’è anche molto alleggerimento. Ho visto anche Cars 3, ma l’ho già dimenticato, e dovreste farlo anche voi invece di andarlo a vedere. L’anteprima di Coco, il successivo film Pixar, di cui abbiamo visto un 20′, invece promette un film più interessante e originale.

 

La Annecy Experience nel 2017

Sì, ma ti sei divertito? Un casino. Non ci posso credere che alla mia prima esperienza anneciana io avessi 29 anni, più o meno come i pivelli che vedo in giro e che mi sembrano piiiiiccoli, e lo spasso non diminuisce in nessun modo, fuori e dentro le sale cinematografiche. Dopo tutti questi anni, però, ci sono alcuni segnali sul fatto che il rituale vada un po’ cambiato. La pizza a Courmayeur è stata troppo sottile e insapore, la sosta all’autogrill dopo il MonteBianco appare sempre più superflua (siamo partiti da venti minuti!), non abbiamo visto per strada le vacche savoiarde e ormai abbiamo una lista di ristoranti in cui “dobbiamo andare anche quest’anno” che è troppo lunga e finisce che sperimentiamo pochi nuovi locali. Ho sofferto un po’ la necessità morale di vedere tutti i lunghi in concorso, giacché ero già certo che alcuni non mi sarebbero piaciuti (e avevo ragione), e mi è rimasta la voglia di vedere qualche programma minore. Sulla via del ritorno abbiamo fatto una strada diversa, passando dal Moncenisio (e mettendoci un’eternità, ma questa è un’altra storia…) anche a mo’ di segnale di rottura. Annecy 2018 la dedicherò alla sperimentazione…e anche se godermi di più questa settimana mi pare impossibile, vale la pena provarci!