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Annecy 2014: com’è andata

Ritorna questo blog dormiente per i tradizionali, odiatissimi post su Annecy.

manifesto2014Come sempre, luci e ombre nell’edizione del festival più amato dai Pinguini. Luci nell’evidenza di un cambio di rotta nella direzione artistica, nella cura dei programmi speciali, nell’introduzione di novità organizzative; ombre in un concorso che nei cortometraggi zoppicava un po’, nelle stesse novità organizzative che necessitano a tratti di un po’ di lubrificazione, e soprattutto nel lavoro della giuria, che ha sfiorato le vette di incompremsibilità del giudizio del 2009, malefico anno dei bambini sudanesi. Ultima ombra, seppure non imputabile all’organizzazione del festival, è stata l’ondata di caldo che ha reso Annecy una città torrida, con conseguente disagio per gli spettatori. A sinistra, il bel manifesto col caprone satanico che allietava gli schermi prima delle proiezioni.

Il più evidente cambiamento organizzativo, nel secondo anno di esilio dal Bonlieu, è stata l’eliminazione dei ticket cartacei, sostituiti da quelli elettronici, e una politica diversa per l’attribuzione dei biglietti: con meno biglietti a disposizione per la prenotazione,  è più difficile conquistarli in anticipo, però mettendosi in coda prima dell’inizio delle proiezioni si entra facilmente. La conseguenza è stata che le code in ingresso erano molto lunghe, e col caldo ardue da affrontare, ma dopo il primo giorno, davvero un po’ troppo caotico perché nessuno sapeva dove mettersi in coda, son filate abbastanza lisce. Purtroppo, altra conseguenza,le proiezioni puntuali son diventate rarissime; se a questo sommiamo il tempo necessario a mettersi in coda quando si è privi di biglietto, il tempo libero tra le proiezioni è risultato decisamente ridotto.Va tuttavia ancora una volta stigmatizzato il fatto che, al momento dell’apertura delle biglietterie telematiche qualche giorno prima del festival, i server non reggano e il sito si pianti. Fatevi fare un corso di scalabilità, ragazzi!
A parte i biglietti, comunque, si son viste altre novità: due cerimonie di chiusura, una per i premi minori e una per quelli principali; poche facce note tra chi lavorava; badge con codice QR; qualche problema di troppo nelle proiezioni (addirittura un film nella sala sbagliata!). Piccole cose nel bene e nel male che testimoniano il cambiamento.

harveyIl cambio di rotta della gestione va però ben oltre l’organizzazione: dopo un 2013 di transizione, quest’anno Serge Bromberg non si è proprio visto e Marcel Jean ha preso in mano imponendo la propria visione. Innanzitutto, finalmente si è rinunciato alla stanca formula della “nazione dell’anno”, dedicando una mole impressionante di programmi all'”animazione in volume” (stop motion, plastilina, pupazzi etc.): c’erano la bellezza di 17 programmi, che spaziavano dai capolavori (e potevo perdermi l’occasione di rivedere ancora Harvey Krumpet?) ai focus su Estonia, Messico o Croazia, a maestri come Harryhousen, Trnka o George Pal, agli inventori del genere agli albori dei cinema, alle sperimentazioni. Davvero una programmazione completa e curata.
Di fronte a questo lavoro gli altri programmi speciali sfigurano un po’: due sessioni dedicate alla prima guerra mondiale in occasione del centenario dell’inizio (ne ho visto uno, discreto) e due sull’eredità di McLaren. A destra, l’intramontabile Harvey Krumpet. Korba!

chairAnche il concorso dei cortometraggi, tradizionale piatto forte, vede due novità. La prima, quella più evidente, è la presenza di un sesto programma oltre i cinque tradizionali, chiamato “Off Limits Animation” e dedicato all’animazione sperimentale. Non è stato chiaro fino alla premiazione se era in concorso o meno; si è poi scoperto che è stato pensato un premio apposta. E’ stato comunque un programma discreto, il cui vincitore è stato uno dei corti meno forti, Corps étrangers di Nicolas Brault, una vi di mezzo tra un astratto  e immagini al microscopio. La seconda novità è più sottile, e forse anche è difficile capire se sia una parentesi di quest’anno o un cambio di rotta definitivo, ma l’impressione è che la selezione sia stata fatta tenendo conto meno dei contenuti e più del guizzo tecnico, dell’idea realizzativa. Il risultato è stata una programmazione piuttosto pesante, con almeno due programmi su cinque faticosi al confine con l’intollerabile, e comunque con la conseguenza che si è riso molto poco. Il cartone con la gag quest’anno è stacasseroleta una bestia rara.
Paradossalmente, invece, i premi sono andati in gran parte a cortometraggi in cui si provava a dare un contenuto. Forse quello che più non va nasce appunto da questo screzio tra comitato di selezione e giuria. Il vincitore, comunque, è stato Man on the Chair di Dahee Jeong, una riflessione sull’identità dell’Autore e dell’Opera, a dire il vero un po’ puerile e intellettualode. A sinistra un’immagine dal vincitore, fatevi voi un’idea. Un po’ meglio il secondo premio a Patch di Gerd Gockell, anche questo che esplora la tensione tra Opere Astratte e Non. Non gli avrei dato un premio, ma almeno è un prodotto sensato. Stupisce molto anche il terzo premio, pari merito, all’italiano La testa tra le nuvole di Roberto Catani, che è un classico corto con gessi stridenti sulla lavagna, metaforicamene e letteralmente. L’altro corto vincitore del terzo premio è stato il grazioso (finalmente!) Histoires de bus di Tali, canadese, una piccola storia divertente nella campagna canadese. Anche un po’ meglio il premio del pubblico, con La Petite Casserole d’Anatole di Éric Montchaud, tenero e toccante (a destra), Diversi altri corti, al di là dei premi, sono meritevoli di menzione e saranno menzionati in seguito, ma devo dire che non ce ne sono che mi abbiano profondamente colpito. Questo è il senso ultimo per cui, alla fine, posso dire che il programma dei corti non mi ha soddisfatto un granché.

meninoBinari più consueti invece per i lungometraggi. Ci son state alcune anteprime anche piuttosto importanti, che però non ho visto o perché troppo difficili entrare (Princess Kaguya di Isao Takahata, l’unico che mi è proprio spiaciuto non vedere) o perché, insomma, non mi interessava più di tanto (Dragon Trainer 2, Saint Seiya). Il concorso ha avuto un vincitore a sorpresa, O meninho du mundo che, ehm, non ho visto, ma di cui potete vedere un fotogramma a sinistra. Ho prediletto un altro programma o forse ho fatto shopping…ma me ne sono pentito. Mi ispirava. Stupisce comunque che sia il secondo anno di seguito che vince un lungo brasiliano, senza che ci sia però l’evidenza di una scuola in fermento (e con un brasiliano in giuria, la cosa puzza un po’). Secondo posto, anche questo a sorpresa, per Cheating del veterano Bill Plympton, più debole rispetto ai suoi standard, e terzo per il discreto Giovanni no shima di Mizuho Nishikubo. Seguiranno dettagli su questi e tutti gli altri film, ma anticipo che il mio preferito è stato Saibi, un coreano durissimo (come sempre per i film di questa nazione).

E infine c’è stata una novità nella mia partecipazione personale ad Annecy: ho saltato le proiezioni del sabato e me ne son tornato in Italia un giorno prima. Le ragioni del cuore prevalgono su quelle dei cartoni animati. I tempi cambiano dentro e fuori il festival.

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