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Annecy 2013 parte seconda: lungometraggi

apostoloVeniamo quindi ai lungometraggi, e iniziamo da quelli in concorso. Dei tre che ho visto, è apprezzabile, ha vinto una menzione speciale e non escludo si vedrà in Italia il francese Ma maman est en Amérique, elle a rencontré Buffalo Bill, che riesce a raccontare della triste scoperta della realtà di un bambino seienne con tenerezza e senza scadere nel mieloso, cosa molto difficile dato il tema. Potreste averlo già sentito perché il fumetto è uscito anche in Italiano da Bao. Interessante anche O apostolo (a sinistra), stop motion spagnola per un horror di atmosfera, molto inquietante e di grande impatto visivo, ma con la storia un po’ zoppicante. Ha vinto tuttavia il premio del pubblico. Jasmine, realizzato in plastilina, parla di una storia d’amore durante la rivoluzione iraniana, e io l’ho trovato davvero noioso e povero di idee, ma molti hanno apprezzato la cinematografia e qualcuno anche la storia.

Maggiore interesse dal lato dei lunghi fuori concorso. E’ stata proposta una bella sfilza di lunghi giapponesi di grandi studi, e ho deciso di concedere qualche chance. Io ho un rapporto di amore-odio con gli anime: se da un lato costituiscono la base del mio background animato e per un certo periodo della mia vita li ho amati alla follia, dall’altro mi fa rabbia vedere la povertà di idee degli ultimi anni e il riciclo sistematico di sempre le stesse tematiche. Vista però la ricchezza di proposte, una volta dribblate i film di Berserk e One Piece, ne ho visti ben quattro.
patemaSakasama no Patema – Patema inverted (a destra) di Yasuhiro Yoshihura è stata addirittura una prima mondiale, uscirà in Giappone in autunno. Si tratta di un film di fantascienza con qualche debito al Conan di Miyazaki che presenta il “metaforone” nella trama delle due popolazioni che vivono con gravità a direzioni diverse e si chiamano gusukol’un l’altro “invertiti”; qualche piccola confusione nella trama, ma nel complesso affascinante e appassionante. Non troppo dissimile è  per Gusuko-Buduri no Denki (La vita di Budori Gusuko) di Gusaburo Sugii (a sinistra), che mette insieme in un mondo di personaggi con fattezze feline una storia che si dipana curiosamente in un’ambientazione tra il medioevo giapponese, la campagna pre-rivoluzione industriale e un mondo steam-punk. Molto curiosa la morale: l’uomo ha il dovere di controllare il clima terrestre; non ho capito se si tratta di un messaggio estremamente anti-ecologico o meno. Peccato per qualche scena onirica di troppo che spezza il ritmo e non aggiunge nulla.
afterschool Il più interessante dei quattro è senza dubbio After School Midnighters di Hitoshi Takekiyo (a destra): ambientato in una scuola durante la notte, narra le peripezie di tre bambine dell’asilo in una folle storia con manichini anatomici viventi, demoni in forma di mosca, viaggi nel tempo, conigli col grilletto facile, UFO e musicisti fantasma. Il debito nei confronti di Uruseiyatsura è pesantissimo, ma l’uso di bambine prescolari invece delle solite studentesse in divisa alla marinaretta dà una ventata di freschezza. Molto divertente. Infine, il peggiore di tutti è l’insopportabile Blood C: The last dark, solita roba di demoni e corporazioni e ragazzine che combattono e che palle, quando fanno ‘ste robe senza nemmeno provarci i giapponesi li detesto. Se avessi saputo che c’erano di mezzo le CLAMP me lo sarei evitato.

santosPagato il tributo al Sol Levante, giriamo un po’ il mondo. El Santos vs la Tetona Mendoza di Alejandro Lozano (a sinistra) è un assurdo film messicano, credo tratto da un fumetto, che parla di un lottatore di wrestling che combatte una tettona per il controllo degli zombi messicani, che sono gli unici che pagano le tasse in Messico. Tra tarzanelli parlanti, citazioni a raffica da Capitan Tsubasa a Dragonball a Rocky a Fuga per la vittoria, un sacco di droghe illegali, stitichezza e scontri finali con funghetti peyote, si ride un sacco, ma il tema non si sposa benissimo con la forma di lungometraggio, e dopo la prima mezzoretta El Santos si siede un po’, risollevandosi giusto per il finalone.
Tornando in Francia, ho assistito all’anteprima di Tante Hilda. Dall’immagine promozionale (a destra un esempio) e dal titolo, mi hildaaspettavo una specie di commedia familiare, mentre invece è un pippone ecologista infinito contro gli OGM da parte del regista del desecrabile La prophecie des grenouilles, Jacques-Remy Girerd, che tra l’altro avevo accanto durante la proiezione e mi pareva brutto andarmene. C’è del buono nel design, i personaggi sono abbastanza azzeccati, e tutto sommato la trama non è congegnata male, e inoltre si cita un po’ Bozzetto il che fa guadagnare punti, ma la pesantezza con cui il messaggio è ripetuto, per di più senza giustificazioni serie se non “gli OGM sono malvagi perché non dobbiamo giocare con la natura” è davvero insopportabile.
L’America ci ha regalato due film, entrambi piccole produzioni indipendent. Confesso di non essere riuscito a vedere per intero il primo e di essermene andato a metà. Si tratta di Consuming Spirits di Cristopher Sullivan, storie di personaggi distrutti nella rust belt più depressa. Il secondo, molto più affascinante, è It’s such a beautiful day di Don Hertzfeld, già autore di cortometraggi che ci son piaciuti. Anche se ci sono dei momenti assai poetici soprattutto nel finale (davvero molto bello), Don non era secondo me pronto per un lungo per la scarsità di  materiale a disposizione e la capacità di gestirlo, e il film risulta un po’ sfilacciato e a tratti noioso. Peccato.
persistenceUltima visione della settimana è stato il curioso Persistence of vision di Kevin Schreck (a sinistra). Si tratta di un documentario sul film animato The thief and the cobbler, una produzione inglese mai terminata da parte di Richard Williams. Pur essendo un film un po’ a tesi “le multinazionali malvagie non fanno lavorare gli artisti come vorrebbero loro”, posso capire che per quanto ambizioso e spettacolare fosse il film, dopo 24 anni e budget milionari buttati via ci abbiano dato taglio, anche se male. Peccato, perché i frammenti mostrati sono davvero mozzafiato, però mai, mai, lasciare un artista a gestire un progetto. Mai!

Non ho visto il film vincitore dell’anno, Rio 2096: una historia de Amor e Furia di Luiz Bolognesi, ma non ne sento la mancanza. Rimpiango invece di essermi perso Tito on ice, un curioso film sulla salma di Tito congelata portata a spasso per l’Europa, che mi dicono essere stato originale e acuto. E pensare che l’ho perso per vedere Tante Hilda!

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