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Opera della piccola Silvia Beccaria, col permesso della mamma (cioè mia sorella). Buon lunedì mattina a tutti.

I barbieri sono il male

“Ehi, ti sei tagliato i capelli?”
“No, me li ha tagliati il barbiere.”

Una volta ogni mese e mezza, a questa inevitabile domanda scioccherella rispondo con un sarcasmo e un’antipatia eccessivi persino per un vecchio orso come me. Non amo andare dal barbiere: non sono abbastanza vanitoso da essere felice di “farmi bello” facendomi sistemare la capigliatura, e quell’oretta che devo passare sulla poltrona otto volte l’anno mi scoccia tantissimo. Comunque sia, nella mia vita mi son fatto tagliare i capelli solo da 6 taglieri (taglieri?!?) diversi. Mettetevi comodi.

Da piccolo, andavo dal barbiere da cui si serviva il mio papà, andando di solito con lui. Situato ad Alassio, sull’Aurelia poco lontano dalla stazione, la sua insegna era un povero “barbiere friseur”. Per anni sono stato convinto che “friseur” fosse il nome di quel signore, laddove invece, ovviamente, è solo la traduzione in francese del suo mestiere. A oggi, non so ancora come si chiamasse il “barbiere friseur” di Alassio. Non ho grandi ricordi di quel signore, se non che era pelato col riportino, usava un camice azzurro e tendeva a pettinarmi invece che tagliarmi i capelli, ma erano ancora tempi da “riga di lato” per gli uomini, i capelli corti non si usavano. Ricordo parimenti che utilizzava una schiuma da barba che, in caratteri grossi sulla confezione, portava scritto “Prima della rasatura, durante la rasatura, dopo la rasatura”. Cosa capitasse prima, durante e dopo la rasatura era stampato troppo piccolo per poterlo leggere, e non lo saprò mai.

L’impero del Barbiere Friseur è durato fino ai miei 11 anni, intervallato solo da altri due visitatori della mia crapa quando, in vacanza a Sassello, la comunità decise che dovevo proprio tagliarmi i capelli e non potevo aspettare il ritorno nella mia natia cittadina. Il primo è stato l’unico barbiere di Sassello, sul quale non ho proprio nulla da dire (capita anche a me!), l’altro è stata mia nonna, che dotata di forbici e asciugamano decise che si potevano risparmiare quelle 10000 lire e farlo in casa. Al ritorno ad Alassio, Barbiere Friseur disse: “Ti ha fatto un sacco di scale!” e io ci rimasi male.

Un giorno, ero in prima media (1986, quindi), avevo bisogno del barbiere e capitò che Mario, amico di famiglia già citato qua, si offrì di accompagnarmi. A causa di un quipproqquò, ero convinto che saremmo andati da Barbiere Friseur, in quanto identificato come “quel barbiere vicino alla stazione”. E invece no. Finii da un altro barbiere, anch’esso vicino alla stazione ma in un’altra direzione. Non che mi trovai particolarmente meglio, ma magari come segno di indipendenza decisi da allora di andare da questo nuovo sforbiciatore. Poiché sono un pusillanime e non voglio che legga di sé tramite i motori di ricerca, chiamerò la sua bottega “Erinni i parrucchieri”, usando la versione greca del suo cognome. Ammicc’. Il signor Erinni era il babbo, e aveva due figlioli (uno dei quali compagno di classe di mia sorella) a lavorare con sé, dopo che entrambi erano stati a far la scuola di barbieri a Torino. Non mi trovavo malaccio con loro, più che altro perché erano piuttosto rapidi, sapevano cosa volevo (potevo quindi dire “il solito!” senza dovermi affannare a spiegare come volessi i capelli) e avevano imparato che non mi va di parlare di calcio, figa, Formula 1 o di simili argomenti da uomini che sono la norma di quei luoghi. Mi siedevo, mi facevo gli affari miei e loro lavoravano in fretta. Tutto bene per oltre vent’anni. Nel 2008 successero però due nefasti eventi coincidenti: il signor Erinni smise di lavorare (stava in negozio ma non faceva più nulla) e il negozio si aprì alle donne. Una seduta media di una donna da un parrucchiere è assai più lunga di quella di un uomo, tantopiù con due terzi della manodopera precedente, e tantopiù che, vivendo io a Genova, potevo andarci solo di sabato. Dopo aver passato due o tre volte mezzo sabato pomeriggio in attesa del mio turno, mi son deciso a malincuore a cambiare, e visto che cambiavo ho deciso di passare a Genova, così da poter andarci nei giorni feriali.

Ho provato a chiedere ai colleghi qualche consiglio ma non ho ottenuto raccomandazioni particolarmente significative, quindi ho deciso di andare assolutametne a caso, e ho scelto un barbiere a Boccadasse, vicino a dove lavoro, chiamato Matteo. Non si chiama così ma è un altro evangelista. Non io, e nemmeno quello di Venezia. Sì, l’ultimo, quello cazzuto. Matteo, un signore di una certa età, all’inizio mi ha conquistato. Fin dall’inizio si è piccato di essere un uomo di cultura, e di leggere oltre cinquanta libri all’anno, e “mica gialli!”. Alle mie indagini mi son reso conto che legge solamente saggi, in generale di politica e divulgazione scientifica (soprattutto biologia e chimica), e, pur non essendo io ferratissimo in alcuni argomenti, ho avuto l’impressione che non li capisse mica tanto. Ciononostante, l’ho trovato un conversatore interessante e stimolante, e anche se ho dovuto faticare un po’ a fargli capire come volevo i capelli ho deciso di continuare a servirmi da lui. Tuttavia, nelle sessioni di barbieraggio successive, ha iniziato a derivare in modo inquietante. Le chiacchierate, in qualunque modo partissero, finivano sempre per arenarsi sulle sue passeggiate domenicali in montagna. E’ un argomento che ritengo assai poco interessante, ma pazienza: anche senza il bonus della conversazione, sarebbe stato comunque un barbiere rapido ed efficiente. Quello che invece mi ha fatto scappare è il fatto che, narrando delle sue peripezie in montagna, a un certo punto l’anziano tonsore arriva sempre a inveire contro i piacentini che incontra sui monti del levante ligure, gente per la quale, per qualche ignota ragione, prova un odio profondo, tanto che inizia a agitarsi e le sforbiciate diventano sempre più violente e rabbiose. Ho solo due orecchie, e mi piacerebbe conservarle intiere. Quindi, ciao ciao Matteo, è stato un piacere.

E così il mese scorso ho provato un ulteriore barbiere, nel centro di Genova. Non ha eccelso né nel bene né nel male: mi ha colpito solo che aveva un “ragazzo”, un apprendista, che mi ha lavato i capelli con una cura impressionante. Giovani entusiasti, poi passerà. Non sono certo di volerci rimanere: dipende quanto sarò pigro il mese prossimo quando sarà il momento di tosarsi. Rimanete sintonizzati, so che fremete dalla curiosità.

Misteri della vita CVII: I dirigenti del WWF

E’ un fatto noto che ogni dirigente del WWF, nel proprio pacco natalizio, riceve un pacchetto di denti di squalo canditi, un sacco di patate di Sfruz (tuberi), un tutù di peli di uomo di Neanderthal e sessantuno piume di dodo, prese fresche fresche dall’allevamento di dodi di Walter Willy Fog (l’imperatore del WWF).  I beni di consumo vengono consumati, per le piume di dodo ci sono un sacco di usi intelligenti…ma cosa se ne fanno di tutti quei tutù?

Enciclopedia Stronza XL: Frübbå, Bamburlesque, Smemoril Ricorsivo

Frübbå, il frullino dell’amore: accessorio messo in vendita dall’Ikea nel 2005, è un parto del famoso designer Lars Strubølen, già mente dietro il famigerato Pissi. Pubblicizzato come “Frübbå, il frullino che fa frrrrrr! Tutto quel che serve a una vera massaia!”, questo strumento è un’audace variante di un comune frullino da cucina. Esso infatti può lavorare in quattro modalità diverse, inserendo quattro testate differenti: maionese, prezzemolo, vibratore e aringhe. Nonostante la sua versatilità e l’indubbia utilità della modalità vibratore, che ha dato un po’ di sollievo agli svogliati mariti svedesi, il Frübbå non ha riscosso successo in Italia per la presenza dell’inutile modalità “aringhe”e la mancanza dell’indispensabile modalità “pummarola”.

Bamburlesque: nome di un genere di spettacoli erotici che hanno per protagonisti i panda. Il Bamburlesque consiste in uno show di ispirazione burlesque in cui questi paciosi animali vengono vestiti con pizzi, strass e guepiere e vengono fatti esibire su un palco davanti a una platea di feticisti. Ovviamente, essendo i panda in via di estinzione, tali spettacoli sono severamente proibiti dalla legge. Il fenomeno giunse all’attenzione pubblica quando, nel corso di una retata in un night che ospitava una serata Bamburlesque, fu arrestato un dirigente del WWF colto nell’atto di molestare un panda vestito di piume di dodo.

Smemoril Ricorsivo: medicinale rivoluzionario prodotto dalla malvagia multinazionale del farmaco Prutt, si tratta di un farmaco per chi soffre di disturbi di memoria. Tuttavia, l’efficacia dello Smemoril Ricorsivo è garantita solo se il medicinale  è assunto solo ad orari precisissimi, e, ovviamente, chi tende a dimenticare le cose ha difficoltà a ricordarsi di prendere la pillola. E’ per questo che la Prutt suggerisce di prendere una seconda razione di Smemoril che serva a ricordarsi di prendere la prima, sempre a orari rigorosi. Inutile dire che, per chi è smemorato, la seconda pillola necessita di una terza dose del farmaco dei laboratori Prutt per rammentarne l’assunzione, e così via. Umbertino Valvassori di Sesto Fiorentino assume quotidianamente 34 pillole di Smemoril Ricorsivo, ma l’altroieri è riuscito a ricordarsi di comprare il sale grosso.

Epifanie sull’epifania

Anche se è già passata, ho un sacco di cose da dire sull’Epifania, una meno interessante dell’altra. Vi vedo già fregarvi le mani per potermi deridere.

C’è da raccontare l’aneddoto sul carbone dolce. Mi spiedo, come dice il pollo: a casa XXmiglia non si portano i regali ai bambini per la Befana, ma solo i dolci nella calza, e con una condizione: solo se sono stati buoni! Ai bambini cattivi, quella vecchia zoccola della befana che non sa farsi i cazzi suoi porta il carbone. Un anno si decise di fare un simpatico scherzo ai bambini: nascondere caramelle e cioccolatini e mettere nella calza del carbone di zucchero, un prodotto probabilmente escogitato appositamente per simili goliardate. Curiosamente non ricordo come reagii io, ma ricordo invece che mia sorella era inconsolabile: “Sono stata buona! Perché ho avuto il carbone?”, singhiozzava tra le lagrime. “Ma no, sì che sei stata buona, non vedi? E’ carbone dolce!”, cercavano di rimediare i grandi. Eh, ma il carbone è carbone, che sia dolce o amaro. Le regole della Befana non lo specificano, quindi eravamo stati cattivi. Che disdetta.

C’è comunque da stigmatizzare la seconda dose di regali che i bambini più viziati ricevevano o ricevono oggi. Sì, sto parlando proprio con te. Vergognati!

C’è da commentare la strana usanza che si sta diffondendo di fare gli auguri alle donne per la Befana. Mi dà l’idea di qualcosa nata come ironia da parte degli uomini, o ancor di più autoironia da parte delle donne, e poi sia un po’ sfuggita di mano e abbia perso la sua valenza originaria per diventare un’abitudine. Oggi, il sei gennaio si fanno gli auguri alle donne e non si pensa molto al fatto che la ricorrenza è data da vecchia una signora repellente con un sacco di bubboni.

C’è da narrare l’aneddoto sull’ultimo pranzo delle feste del Piccolo Luca. Questa è veloce: a casa XXmiglia/Bielli e dintorni nelle feste di Natale erano previsti sei pranzoni/cenoni. Il 24 dicembre sera, in occasione dell’apertura dei regali, era la cena dei bambini, a base di pizzette, cocacola, salatini e panini al latte farciti. Il 25 a pranzo era il pranzone di Natale, a base di carne: agnolotti, stracotto, salumi. Il 26 il pranzo di Santo Stefano era parimenti abbondante e a base di pesce: salmone, cozze, spaghetti ai frutti di mare, scampi. Qualche giorno di pausa, e si arriva al cenone del veglione, a casa della nonna coi suoi amici. Non paghi, il pranzo dell’1 era anche più rigoglioso (nonché detestato quand’ero più grandicello e facevo bisboccia a capodanno). E infine, quando le panze erano già stroncate, c’era l’ultimo colpo di grazia per salutare le feste (e il fegato) all’Epifania.

E infine c’è da esegesizzare la ben nota filastrocca:

La befana vien di notte
con le scarpe tutte rotte
il vestito alla romana
viva viva la befana

Tutti, suppongo, si son sempre chiesti in cosa diavolo consista un vestito alla romana. Forse sarà come gli gnocchi alla romana, quindi fatto di semolino. Però probabilmente solo io mi son chiesto perché bisogna festeggiare una di cui conosciamo solo le abitudini notturne, la vetustà delle calzature (che diamine, invece di portare il carbone ai bimbi cattivi vendilo e comprati un paio di crocs verde smeraldo nuove!), e l’abbigliamento fatto di semolino. Boh. Viva viva lo stesso.

Beh…buona befana (in ritardo) a tutte!