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Misteri della vita LXXVIII: Modelle

(Per rinfrancar lo spirito tra un ponte e l’altro. Giusto per non lasciare il blog vuoto per due settimane, un’allegra domandina di cazzeggio)

Le modelle, come noto, hanno la simpatica e salutare abitudine di vomitare quello che hanno ingurgitato per non ingrassare. Non potrebbero invece gustare il cibo ma non inghiottirlo, sputandolo magari in un contenitore apposito?
L’usanza, apparentemente disdicevole, potrebbe essere resa socialmente accettabile rinominando il contenitore per il bolo Fashion Food Bag, o Topmodel puking purse.

– E ora, per la collezione autunno-inverno di Laura Biagiotti, una Fashion Food Bag con l’esterno in velluto rosa e l’interno in pratico acrilico lavabile marrone. Osservate la grazia con cui la nostra Katiuscia sputazza una coscia di pollo masticata con lo stile che la contraddistingue. Un applauso per Katiuscia!

L’orchestra vuota di Hanao-chan

Ora che il primo decennio del XXI secolo sta volgendo al termine, il fattore nostalgia si sta spostando dagli anni ’80 ai ’90, e fioccano i revival di vario tipo. Come capita comunemente in occasioni simili il tempo trasforma e abbellisce ciò che tanto bello magari non era: per me gli anni ’80 sono i robottoni in tv e le partite di pallone con gli amici nei prati piuttosto che Craxi, Reagan, gli yuppie e le giacche da uomo con le spalline. E, similmente, l’orrenda techno anni ’90 o Sailormoon in TV mandano alcune persone in sollucchero.

Ma io per questo decennio ho deciso arbitrariamente che è troppo presto, ed è per questo che oggi stigmatizziamo un programma che in quel periodo ha fatto furore: il Karaoke di Fiorello. Per chi non lo ricordasse o fosse troppo giovane o ai tempi fosse vissuto in una caverna, ricorderò che si trattava di un programma televisivo in cui un signore con la coda di cavallo girava per le piazze italiane e faceva cantare dei concorrenti dilettanti mentre sullo schermo tv comparivano i testi delle canzoni, invitando quindi implicitamente il pubblico (a casa e dal vivo) a cantare insieme. Al termine dell’esibizione di ogni concorrente il pubblico acclamava e un apparecchio, chiamato applausometro, misurava il rumore dei fan in delirio. Chi otteneva più applausi vinceva. Tuttavia, spesso l’applausometro misurava valori a caso e il vincitore quindi era piuttosto aleatorio, o più probabilmente deciso a tavolino in base alla simpatia o alla telegenicità dei concorrenti. Appare evidente che si tratta di un programma che può avere un certo successo, perché racchiude il coinvolgimento del pubblico sia dal vivo che in tv, coniugato con canzoni conosciute da tutti. Più sorprendente invece il fatto che una formula così povera sia durata la bellezza di quattro anni: non c’è poi tanto da stupirsi se Fiorello si sfondava di cocaina, chissà che palle!

Io ho dei ricordi contradditori del Karaoke; certamente non lo guardavo quotidianamente, un po’ perché era trasmesso alle 20 e alle otto a casa mia si vedeva il telegiornale, ma soprattutto perché a quell’epoca ero fissato con l’heavy metal e, come è normale per gli adolescenti, non accettavo compromessi con altri generi musicali. Figurarsi la musica italiana! Eppure diverse puntate devo averle viste, giacché c’è un momento che ricordo con affetto un po’ trash: la promozione dei jeans Lee. In queste occasioni saliva sul palco un fortunato astante del pubblico che per vincere un premio doveva annunciare un personaggio famoso che si chiamasse Lee, come i jeans. Inutile dire che, evidentemente, la risposta era suggerita dalla produzione. Dopo pochi giorni i Lee più ovvi erano esauriti (Spike Lee, Stan Lee, Sheryl Lee, Bruce Lee…) e iniziarono le risposte più spurie, come Jerry Lee Lewis, Jamie Lee Curtis o il Generale Lee inteso come automobile di Hazzard. Esauriti anche questi, con la telepromozione che non era ancora terminata, gli autori gettarono la spugna e passarono a orrori pseudo-spiritosi come “Leeno Banfi” o “Topoleeno”.

Ancora oggi, quando sento parlare di quanto Fiorello sia bravo e come sia il futuro salvatore della tivù italiana io ripenso a quel signore con la coda da cavallo e lo sguardo un po’ spento che, sentendosi dire “Topoleeno”, ha l’aria di pensare “Che me tocca fa’ pe’ campa’!”. Amico Rosario, figurati che noi ti guardavamo…

Enciclopedia Stronza XXX: San Pancrazio Vergine, Carciofo, Fulmine dei mirtilli

San Pancrazio Vergine: santo della provincia di Asti, noto per l’erezione della Cattedrale delle Bricioline e per le circostanze di canonizzazione. Pancrazio, nonostante avesse preso i voti da frate, era noto per la sua vita sregolata: beveva, bestemmiava e picchiava le vecchiette. Ma nonostante tutto era vergine, poiché nessuna fanciulla voleva giacere con un frate brutto, puzzolente e dal naso rubizzo. Finché un giorno, un corno di vino in una mano, una fetta di formaggio nell’altra, il malvagio Pancrazio cercò di usare violenza su una povera suora di passaggio. Tuttavia, appena introdotto il glande nella malcapitata, un boccone di formaggio gli andò di traverso ed egli morì soffocato. Secondo i testimoni – la violenza stava avendo luogo in pubblica piazza – però, Pancrazio prima di spirare fece in tempo a emettere un gemito da tutti interpretato come un segno di supremo pentimento.
Nel 1578 un congresso di teologi si riunì per stabilire se, date le
circostanze, Pancrazio fosse da considerarsi vergine (e quindi degno di essere canonizzato) oppure no (e quindi destinato a finire all’Inferno). I settantasette vescovi, dopo sei anni di discussioni, proclamarono il principio della “profunda penetratio” secondo la quale Pancrazio era in effetti morto vergine, oltretutto rinnegando il suo passato di scelleratezze. San Pancrazio Vergine si festeggia il sette marzo.

Carciofo: ortaggio con capolino e squame carnose che viene consumato in vari modi prima che giunga a completa fioritura. Particolarmente prelibati sono i carciofi ripieni, i carciofi fritti o i carciofi alla giudea, ma molti li preferiscono crudi conditi con olio e limone.

Fulmine dei mirtilli: fenomeno meteorologico tipico della regione del Trentino, consiste in una particolare forma di fulmine attirata esclusivamente dai mirtilli. Quando i Fulmini dei mirtilli colpiscono questi frutti, danno vita a una rara e succulenta marmellata caramellata, detta Mirtillera, di cui però da ogni scarica se ne ottengono solo poche, preziose gocce. Dato l’alto prezzo di mercato della Mirtillera, alcuni professionisti, detti Marmellanti, si sono specializzati nel raccogliere questa singolare composta nel corso delle tempeste di fulmini dei mirtilli (le cosiddette “Martinelle”), a costo di finire uccisi dalle scariche elettriche. Per ovviare a questa morìa, Manrico Krepentel, un ingegnoso scienziato del luogo, ideò un metodo per produrre su scala industriale la Mirtillera: all’interno della sua coltivazione di mirtilli, egli applicò tante minuscole antenne parafulmine a ogni frutto, sperando così di attirare le scariche su di essi e di ottenere grandi quantità di marmellata. Krepentel morì fulminato e caramellato durante una Martinella particolarmente violenta, e fu venduto dal figlio Ulrico al Mercato dei dolciumi di Fai della Paganella.

ìS, taiF itassofotuA è oilgem!

Quand’ero bambino la famiglia Ventimiglia possedeva due automobili. La macchina grossa, quella guidata quotidianamente da papà, era una Opel Kadett prima verde e poi blu (evidentemente papà si era trovato bene), la macchina piccola invece era di solito usata da mamma, ed era una splendida Panda color crema con tettuccio apribile, dal quale, in estate, a volte era concesso sporgersi durante i tragitti. Alla faccia della sicurezza, era un’esperienza divertentissima.
Sul vetro posteriore della Panda era attaccato un lungo adesivo, che attraversava il lunotto per intero e che recitava: “Sì, Fiat Autofossati è meglio!”. Si trattava di un’astuta idea del concessionario che si pubblicizzava attraverso le vetture vendute. Mi chiedo solo ora perché non avessimo rimosso quello stupido adesivo, ma in fondo è stato meglio così.
Infatti la decalcomania era trasparente e, vista da dentro, la scritta appariva al contrario (il cosiddetto “effetto aznalubma“) . Io e mia sorella, relegati nel sedile posteriore, avevamo deciso che “ìS, taiF itassofotuA è oilgem!” era una frase multilingue:

Non avevamo però deciso quale fosse il significato della babilonica espressione. Forse, leggendola ad alta voce a mezzanotte, compare il diavolo.

Nota a piè di articolo: gli specialisti di specchi e simmetrie avranno notato l’anomalia per la quale la frase veniva ribaltata parola per parola ma non nel suo complesso. Non so spiegare perché leggessimo “ìS, taiF itassofotuA è oilgem!” e non, come sarebbe più naturale, “oilgem è itassofotuA taiF, ìS”. Forse, semplicemente, suonava meglio.

De nuevo tu? – Parte II

Continua (e finisce, state tranquilli!) la panoramica dei libri sui quali mi sono soffermato nella mia gioventù.

Le avventure di Tom Sawyer di Mark Twain: per qualche misteriosa ragione, da giovane non mi è mai capitato sottomano il libro gemello di Tom Sawyer, Le avventure di Huckleberry Finn, universalmente ritenuto superiore. L’ho letto e apprezzato solo nel 2006 finendolo sul traghetto per Cefalonia, ma qua stiamo parlando di Tom Sawyer, quello meno bello, quindi smetto di divagare. Tom Sawyer ce l’avevo, in un cartonato marrone illustrato (poche illustrazioni, giusto una dozzina, ma sufficienti per rovinarsi il piacere di immaginare i personaggi a proprio piacimento), e mi era piaciuto un pacco, e l’ho riletto quelle 5-6 volte. In particolare, amavo la parte finale con l’avventura nelle caverne, che mi lasciava sempre col fiato sospeso…come se non sapessi come andava a finire!
Come particolare inutile, si sappia che la prima volta che l’ho preso in mano ho sperimentato una cabala particolare: si prende la prima e l’ultima parola del libro; se questi due vocaboli, letti di seguito, formano una sintassi coerente, allora il libro sarà bello. Mi ero imposto di farlo per tutti i libri. Non l’ho mai più fatto per altri, né ricordo se la cabala avesse dato risultato positivo o negativo. Miserabile fallimento.

Guarda e scopri gli animali della preistoria: io da piccolo non volevo fare l’astronauta, o l’esploratore, o il calciatore: volevo fare il paleontologo. Purtroppo, nella mia classe e tra i miei amici nessuno condivideva la mia passione per i dinosauri: la cosa è assai strana, perché ho scoperto dopo che sono un oggetto di culto molto comune tra i bambini, quindi l’anomalia non ero tanto io ma piuttosto l’insieme dei miei conoscenti. Avevo però la miseria di due libri sui dinosauri (più i frammenti ne Il grande libro del Sapere), dei quali il mio preferito era Guarda e scopri gli animali della preistoria. Beh, alla seconda rilettura non c’era molto più da scoprire, li conoscevo già, quindi avrebbe dovuto mutare titolo in Guarda gli animali della preistoria.
Ad ogni dinosauro quel libro dedicava due pagine: quella di sinistra aveva un’illustrazione a tutta pagina e il box Lo sapevate che…, quella a destra era dedicata ad informazioni più dettagliate sul lucertolone in questione. La citata sezione Lo sapevate che… era costituita da una serie di curiosità del tipo “…che l’anatosauro aveva oltre 5000 denti?”, tutte corredate rigorosamente dai puntini di sospensione all’inizio e il punto interrogativo alla fine. Io mi sentivo in dovere di rispondere mentalmente “sì” ad ognuna di esse, raramente “no” se ripassavo qualche rettile meno interessante, come l’ittiosauro che sembra troppo un pesce per essere figo come un dinosauro vero.

Il Signore degli Anelli di J.R.R. Tolkien: ok, ammetto che la mia frequentazione de Il Signore degli Anelli esce un po’ dal seminato de “i bambini vogliono sempre le stesse cose” e si riconduce invece a patologie più geek tipo i trekker o i Marvel zombie o i fan di Star Wars o, in tempi più recenti, appunto i fan di Tolkien. Ho letto il romanzo in questione per la prima volta in prima media, per la seconda volta nell’estate tra la seconda e la terza media, e poi, dalla prima liceo al secondo anno di università, una volta all’anno. Era quasi diventato un rito: in autunno, più o meno nello stesso periodo in cui Frodo parte per la sua avventura, attaccavo Una festa a lungo attesa e arrivavo tipicamente a I rifugi oscuri verso Natale. Poi mi son stufato.

La famosa invasione degli orsi in Sicilia, di Dino Buzzati: libercolo in rime e illustrato (credo da Buzzati stesso), per anni mi ha suggerito che Buzzati fosse principalmente uno scrittore per bambini. E poi l’altro suo libro che avevo visto in casa era Poema a fumetti! Dovrei rileggerlo, ma da quel che ricordo era una tipica satira della società umana mascherata sotto forma di animali. Un buon esempio di libri per adulti che piace anche ai bambini, o viceversa.

Tutta Mafalda di Quino: un giorno un’amica di mia mamma piombò a casa con un regalo per i bambini: Tutta Mafalda, la raccolta completa delle strisce su questo personaggio. Io ignoravo completamente di che si trattasse, tanto che, cercando il nome dell’autore sulla copertina, decisi che era un certo Bompiani. Il povero Quino se fosse morto si rivolterebbe nella tomba, quindi si limiterà a rivoltarsi nel letto. Mi son potuto così tuffare nell’Argentina degli anni ’60, un universo a me sconosciuto, così lontana sia nel tempo che nello spazio. Era un mondo colmo di riferimenti che non coglievo: i Beatles, Fidel Castro, Nixon, la guerra del Vietnam, la tartaruga chiamata Burocrazia (da piccolo dicevo “burocràzia”, non sapendo di cosa si trattasse) e, come scoprii più tardi, un’ovvia ragione per la mancanza di riferimenti espliciti alla politica interna argentina, se non la percezione generale di una società ricca di contraddizioni e con un disagio diffuso e difficile da esprimere. Mafalda ha lasciato un’impronta molto marcata sul mio modo di vedere le strisce: al di là della battuta, se non le vedo calate nella società e nel mondo contemporaneo mi paiono insipide. Persino i Peanuts.

Alba del domani, a cura di Isaac Asimov: sottotitolato La fantascienza prima degli anni d’oro, si tratta di un bel volumone cartonato in cui Isaac Asimov introduce una serie di racconti di fantascienza degli anni ’30, pubblicati su riviste pulp. Non sorprenderà nessuno sapere che la parte migliore del volume sono i cappelli di Asimov, in cui, tra autobiografia, divagazioni e vanagloria racconta l’intreccio tra l’evoluzione della letteratura di fantascienza in America e la sua gioventù. In inglese “fantascienza” è “science fiction”, narrativa scientifica (a pensarci, l’opposto del termine italiano!), ma i racconti, da questo punto di vista, erano ingenui e stupidini: no! anche se il modello comunemente proposto per gli atomi assomiglia ad un sistema solare, non è plausibile che rimpicciolendosi si scopra che è veramente un sistema planetario perdipiù popolato da omini strani! Il territorio della fantascienza è il verosimile, non l’impossibile! Ciononostante, o magari appunto per questo, erano racconti che avevano il giusto mix di esotismo, di avventura e di scorrevolezza per poter essere apprezzati da un giovane lettore. E infatti li apprezzai, li lessi, li rilessi e li rintintin. Se riuscite a tralasciare questo agghiacciante calembour, concluderò dicendo che non invece non ho mai letto un granché della fantascienza dei cosiddetti anni d’oro. Mi son limitato a quel che veniva prima: un po’ come se vedessi e rivedessi “Il colosso di Rodi” senza affrontare mai i western di Leone.

Misteri della vita LXXVII: Quattordic’anni

Non so se la regola è ancora valida, ma ai miei tempi (quand’ero alle medie, diciamo) era vietato l’uso dei videogiochi nei bar o nelle sale giochi ai minori di 14 anni non accompagnati. La fascia di età 10-13 anni era probabilmente quella più avida di “giochini elettronici”, e vietarla a loro è un po’ come vietare per legge ai bambini di andare sullo scivolo o ai vecchietti di guardare i lavori in corso. Siamo in Italia, ed era una regola raramente fatta rispettare, ma mi sono sempre chiesto quale fosse la motivazione che ha spinto il legislatore a una norma così assurda.

Ai tempi l’ipotesi che girava era “perché si fanno scommesse“. Mah! A parte che non ho mai conosciuto nessuno che facesse dell’azzardo del tipo “scommetto 10.000 lire che non riesci a passare il primo diavolo a Ghosts ‘n’ Goblins!”, chi vuole davvero scommettere lo fa su qualunque cosa (“5.000 lire che la prossima macchina è bianca!”), non ha bisogno di una scusa del genere.

La mia ipotesi è un po’ diversa: per un buco legislativo, i videogiochi sono stati equiparati ad altri tipi di intrattenimenti usualmente presenti nei bar, come il biliardo, i giochi di carte, le freccette, che sono tipicamente destinati agli adulti. Non che ci sia nulla di male se un dodicenne si fa una canasta al Bar Sport, ma un legislatore bacchettone (una specie che è sempre stata molto florida, e che ora non è certo in via di estinzione) la può vedere in modo diverso. Una volta catalogati in questo modo, il passaggio alle sale giochi, quando sono nate, è stato immediato.

O magari, più semplicemente, è una cosa nuova che piace alle nuove generazioni e non a quelle vecchie, quindi è malvagia e va limitata, se non proibita?

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