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De nuevo tu? – Parte I

Ogni tanto sento dire da qualche parente o conoscente sconsolato provvisto di pargoli qualcosa del genere: “E’ incredibile! Guarda continuamente <Bongo>“, dove <Bongo> è una variabile che indica un film la cui qualità non è importante. Ricordo come esempi reali I figli del capitano Grant per le figlie di Gianni o Spider-Man per il mio cuginetto Elia (mio zio trionfante gli portò Spider-Man 2 ma a Elia non poteva fregarne di meno, lui voleva Spider-Man!) o ancora La Compagnia dell’Anello per un amico del mio amico Alessandro. Similmente si sente dire “E’ incredibile! Vuole sempre che gli racconti la stessa storia!” o, per bimbi più acculturati, “E’ incredibile! Legge continuamente lo stesso libro!”.
Ma no, non è incredibile. Non so se la cosa è pedagogicamente nota, ma io ho notato come i bambini amino ritrovare nelle storie quello che già conoscono . Il fatto che molte opere a loro dedicate siano ripetitive o seguano certi schemi predefiniti ne è una conseguenza, ma spesso il bambino vuole ritrovare addirittura le stesse parole.

Io non faccio eccezione. A casa mia non c’è mai stata grande abitudine di raccontare favole, ma quando succedeva, crollasse il mondo se era qualcosa di diverso da Cappuccetto Rosso o Biancaneve. Inoltre quand’ero piccolo i videoregistratori esistevano solo nelle case dei più facoltosi early-adopter, quindi non avevo possibilità di rivedere sempre gli stessi film. Ma per le letture…beh, non credo che sia passato qualcosa tra le mie mani senza che io l’abbia letto almeno due volte. Ogni singolo numero di Topolino veniva riletto più volte, ma persino fetecchie come Trottolino o Tarzanetto venivano ripassate. E poi c’erano alcuni volumi che avevo periodicamente tra le mani.
Ad esempio:

Io Paperone e Io Topolino: bella forza, direte voi, sono una collezione di storie mozzafiato di Carl Barks e Floyd Gottfredson! Li ho ripresi in mano non molto tempo fa, e mi son sorpreso a rendermi conto di come le storie mi tornavano in mente con le esatte frasi, rimaste sepolte solo sotto un velo di polvere. Credo che questi volumi siano molto diffusi nella mia generazione, tanto che credo che quasi tutti sappiano che un rubino striato vale molto di più di un rubino a pois, che Lampo Nero è danaro sicuro, che un cavallo da corsa se non vince finisce alla fabbrica di colla, e che una manciata di terra può valere di più di una luna tutta d’oro. I due volumi in questioni sono stati talmente consumati che sono stati ricopertinati da un rilegatore, e comunque qualche sedicesimo volante c’è tuttora.

Il grande libro del Sapere: ai miei tempi c’era una collezione maligna di libri dal dorso giallo della collana “I grandi libri del…”, che più o meno entravano in tutte le case. Erano probabilmente considerati un regalo “semplice” per regalatori svogliati. Io ne possedevo tre: della Natura, della Mitologia (che poi era un pallosissimo dizionario mitologico) e del Sapere. Quest’ultimo era il mio preferito, anche se non ricordo quale fosse il tema primario del volume; ricordo tuttavia che le sezioni di scienza erano le mie favorite, e in qualche modo sapevo dove aprire quel volume da 500 pagine nel punto giusto per ripassarle. Alas, non ricordo quasi nulla dei testi come erano scritti lì, ma suppongo che abbiano fornito una base per case che poi ho reimparato e approfondito in seguito.

I ragazzi della valle misteriosa v.1: ah! Mettetevi comodi! Pur sforzandomi, non riesco a capire perché io abbia letto così tante volte I ragazzi della valle misteriosa v.1. Tale volume, un cartonato bianco illustrato, narrava delle peripezie di Eva e Pietro, due orfanelli che, per sfuggire a qualche mal specificata persecuzione andavano con gli zii a fare gli eremiti nella misteriosa Valle Misteriosa. Gli zii morivano durante il viaggio, e i due si ritrovavano a vivere come nella preistoria, abitando in una caverna, accendendo il fuoco con le pietre e difendendosi dalle fiere. Il volume 1 finiva con il capitolo “Pietro beve il sangue dell’orso”, ovviamente per acquisirne la forza dopo averlo ucciso. Non ho mai saputo come andasse avanti e tantomeno come finisse la storia, cosa che rende ancora più incredibile il fatto che lo rileggessi spesso, ma mi aspetto che a un certo punto i persecutori arrivassero nella Valle e/o che sbocciasse l’amore tra i due (stile Laguna Blu). Qualche tempo fa ho cercato in rete qualche informazione per vedere se esisteva in commercio il seguito o perlomeno trovare un riassunto, e ho trovato qualcuno che citava lo “sceneggiato tv più beghino mai prodotto”. Ho quindi capito che il libro era una riduzione di una qualche produzione televisiva anni ’70 e, che, anche se non ricordavo alcun elemento esplicitamente religioso nel primo volume, in effetti i nomi di Eva e Pietro probabilmente non erano scelti a caso. Comunque sia, non so tuttora come finisca. Pazienza.

Pulizie di primavera

Ok, giacché sono abbastanza allenato ad avere la faccia come il culo, è giunto il momento di riversare brutalmente le mezze idee che ho nel file “pinguini.txt” da anni, idee che non sono abbastanza forti per reggere un post tutto per loro ma chi mi dispiace buttare via completamente.  Fatene buon uso.

Mangiando il pesce, il bicchiere assume in qualche modo il sapore ittico, e quando si arriva al dolce la cosa è molto fastidiosa.

Quand’ero piccolo non dicevo “per giove” perché mi pareva eretico citare un dio pagano. Allora dicevo “per giove pianeta”.

E’ un bel problema quando si sternutisce mettendosi la mano davanti alla bocca e poi non si ha un fazzoletto a portata di mano.

Da bambino, a casa mia il nome familiare che si usava per i peti era “put“. Quando ho iniziato a programmare in Basic Vic20 e ho scoperto l’istruzione Input sono morto dal ridere. In-put… hai capito? Prot!

Ci sono alcune frasi vere quasi per tutti, ma che ognuno credere essere peculiari per egli stesso. Potrebbero essere utilizzati dagli oroscopisti. Ad esempio:
Io sono bravo e buono, ma quando mi arrabbio divento una belva!
Nel mio lavoro bisogna continuamente tenersi aggiornati.
Il mio peggior difetto è che sono troppo buono.

E’ molto antipatico tagliarsi con la carta.

Sarebbe utile poter avere una sorta di banca dei parcheggi. Capita spesso di trovare tanti parcheggi quando, ovviamente, te ne basta uno solo. In questo caso, si assume un credito di parcheggio, che si riscuote poi quando non se ne trovano. (Vi assicuro che quando ho pensato questa non ero ubriaco)

Krispy: al secolo Manuela Sessamanti, Krispy è una meteora musicale degli anni ’80. Il nome di “Krispy” non evoca alcunché ai più, ma è sufficiente ricordare l’intro di tastiera e bongo del suo hit Baby coconut perché si materializzi in mente l’immagine di quella ragazzina prosperosa che squittiva nei video di Deejay Television.
La sedicenne Manuela era
(sì finisce proprio così. Questa è una voce dell’Enciclopedia Stronza il cui incipit mi piaceva ma per la quale non sono mai riuscito a trovare un proseguimento decente. Lo lascio al lettore per esercizio.)

Misteri della vita LXXVI: Il dilemma di Arnold

Recita l’immortale sigla di Arnold (Diff’rent Strokes) in italiano:

Arnold Arnold combinaguai,
una ne pensi,
cento ne fai.

Il che mi pare perfettamente sensato: Arnold è un piccolo scavezzacollo che combina guai ad istinto. Ne pensa una sola, ma poi ne fa cento perché, data la sua genialità nel settore della birbanteria, non ha bisogno di pianificare le sue scorribande: quando è lì, gli vengono in mente. Che negretto spassoso!

In seguito però ho scoperto che c’è un adagio comune che dice “una ne fai e cento ne pensi”, ad indicare che il soggetto in questione ne fa una, ma mentre la fa ne pensa altre cento. Se queste cento vengono poi effettivamente fatte oltre che pensate, ognuna ne genererà altre cento, e al terzo giro saremo già a 10101 guai combinati!

Mi chiedo quindi quale delle seguenti sia vera.

a) la sigla di Arnold è una parodia di tale detto, che implica che Arnold oltre ad essere un mariuolo è anche uno che rivoluziona il mondo della monelleria

b) la sigla di Arnold si sbaglia. In tal caso, Odia gli stupidi se ne occuperà.

c) il detto comune in realtà è posteriore alla sigla di Arnold e la estremizza.

d) sono sempre esistiti entrambi i detti, Arnold ne ha solo scelto uno.

e) tutto questo è irrilevante e faresti meglio a dedicarti a cose più serie (questa era troppo facile)

Enciclopedia Stronza XXVIII: Cacarolles, Mouflettes aux soldats, U verdicchiu

Come annunciato nel volume XXVII, d’ora in poi l’Enciclopedia Stronza si occuperà esclusivamente di divise militari del periodo napoleonico. Buona lettura.

Cacarolles: ampi pantaloni utilizzati dalle truppe napoleoniche d’assalto. I cacarolles avevano il cavallo molto basso, all’incirca al livello delle ginocchia, cosicché nel caso i soldati nel corso di un assalto se la fossero fatta addosso per lo spavento, non sarebbero stati infastiditi dalle loro stesse feci compresse tra la pelle e i pantaloni. In questo modo, invece, gli escrementi venivano raccolti nello spazioso cavallo, da dove poi potevano essere rimosse alla fine dell’assalto.

Mouflettes aux soldats: pantofoline pelose fornite come parte dell’equipaggiamento base delle truppe napoleoniche. I soldati, prima di coricarsi, ponevano le loro Mouflettes ai piedi della brandina, così da poterle calzare agilmente in caso di attacco a sorpresa, al contrario degli stivali, che richiedevano più tempo per essere indossati. A seconda del reparto, le mouflettes erano foggiate secondo le sembianze di un animale diverso: maialini per gli artiglieri, ranocchie per la fanteria, paperelle per la cavalleria e via dicendo. Rimase negli annali il caso di un fante che chiese in via ufficiale il permesso di indossare delle Mouflettes a forma di orsetto – quelle proprie delle truppe d’assalto – e fu impiccato in pubblica piazza come monito per gli altri soldati.

U verdicchiu: berretto d’ordinanza degli ufficiali napoleonici all’interno della divisione degli artiglieri. “U verdicchiu”, come suggerisce il nome, è un tipico copricapo corso importato da Napoleone stesso; assomiglia a una parrucca da pagliaccio di color verde acceso, quasi fosforescente, ragion per cui gli ufficiali dell’artiglieria vennero simpaticamente ribattezzati dai loro sottoposti “fottuti pagliacci”. Una volta constatato che all’interno di tali reparti era sempre più difficile mantenere l’ordine e che le gerarchie erano di rado rispettate, Napoleone a malincuore ordinò che i verdicchiu fossero aboliti e sostituiti da un più sobrio colbacco in pelliccia di uro.

Uomo tamponato cognac

Pochi giorni fa, facendo ordine in casa ho trovato una piccola scatola che portava la dicitura Uomo tamponato cognac. Il mio subitaneo smarrimento è durato poco, mi son ricordato in fretta che era la scatola del portafoglio che mi han regalato per Natale: un portafoglio da uomo color cognac. Ignoro cosa voglia dire tamponato, ma dev’essere un tecnicismo dei portafoglivendoli; chi avesse voglia di fare ricerche sarà ringraziato. Tuttavia, è impossibile non rimanere ipnotizzati dall’immagine che evoca quell’espressione: Uomo tamponato cognac.

Io mi immagino un uomo perbene stile gentiluomo meridionale, vestito con un completo color coloniale, coi baffi e magari anche il cappello, che seduto su una poltrona da barbiere dice al suo tonsore, dopo la rasatura: “Sa, Filippo, oggi avrei proprio voglia di una tamponatura…vediamo, sì, al cognac”. E il barbiere: “Ottima scelta, dotto’!”.

Oppure, mi figuro un alcolista che sta cercando di smettere. Sa che se assume un solo goccio di alcool dovrà riniziare da capo la disintissocazione, e sono già due settimane che non beve niente. Eppure, la tentazione è fortissima: per cercare un palliativo usa tamponi di cognac: versa del costosissimo liquore su un batuffolo di cotone idrofilo e si cosparge il viso. Il profumo di quel nettare gli dà temporaneo sollievo, o almeno così crede.

O ancora, la mia mente vola ad un vecchietto col cappello che sta viaggiando lieto sulla sua Panda. In prossimità di un passaggio pedonale rallenta, quand’ecco che, bang!, viene tamponato violentemente da una Golf. Belin belin, scende alterato e, resosi conto che il malfattore è alticcio, chiama le Forze dell’Ordine. I solerti caramba arrivano e, constatato che il tamponatore ha una bottiglia di cognac vuota accanto a sè, marcano sul verbale: “Codice A302 – Uomo tamponato cognac”. Chiaramente, il codice A303 è “Donna tamponata cognac”, mentre l’A301 corrisponde a “Uomo tamponato grappa”. L’A302 è piuttosto raro (al contrario dell’A301 che è molto comune), tanto che l’appuntato Chiarullo passerà la settimana a bullarsi coi colleghi per averne redatto uno.

Misteri della vita LXXV: Un bel gioco

Oggi si parla di proverbi e in particolare di quello che recita Un bel gioco dura poco. Mi raccomando, pronunciatelo a mo’ di zia Adelina, scandendo le parole e possibilmente agitando l’indice verso l’interlocutore.

Perché un bel gioco deve durare poco? Se un gioco (o, andando oltre la metafora, qualunque tipo di attività) è bello, allora parte della sua beltà dovrebbe consistere anche nella sua longevità. Oppure è una questione etica? Quello che sembra suggerire il proverbio è “ragazzi, va bene divertirsi, ma con moderazione. Quindi, giocate pure ma poi torniamo ad occuparci di cose serie.” Paradossalmente, però,vale anche il contrario: “Ragazzi, tutto e subito! Un bel gioco, adesso, e per poco! Vivi forte, muori giovane e lascia un bel cadavere!”

In sostanza, ce n’è per tutti i gusti, e mi son risposto da solo. Ma se io voglio giocare a lungo, come faccio? Devo per forza giocare ad un gioco brutto? Vita infame…

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