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Teddy BobLa storia del fumetto ogni tanto reca delle sorprese a chi, come me, è curioso di espandere le proprie conoscenze ma è abissalmente ignorante in alcuni aspetti di essa. È stato così che all’ultimo Lucca Comics, spulciando in un negozietto di roba vecchia, mi sono imbattuto in Teddy Bob, attratto dalla dicitura "Il fumetto giovane". Non ho resistito e ho dovuto comprarlo, per fortuna ad un prezzo ragionevole.
Teddy Bob è una collana tascabile quattordicinale. Il numero in mio possesso è il 48 del 6 agosto 1968, ed ha grossomodo il formato di Diabolik, Alan Ford o dei pornazzi di Barbieri. A differenza di questi titoli ha una struttura della tavola più audace, osando spesso andare oltre le due vignette canoniche (una sopra e una sotto), anche se i disegni non sono nulla di particolare. Meno innovativa è la struttura narrativa, palesemente autoconclusiva basandosi su schemi piuttosto ripetitivi e "rodati". Avendo letto un solo numero ovviamente non posso garantirlo, ma mi pare palese che il meccanismo sia "un amico di Teddy Bob ha dei guai e Teddy li risolve nonostante i matusa". Nessuna traccia dei nomi degli autori, come era prassi a quei tempi. Fin qui nulla di particolare, il fumetto popolare negli anni ’60 offre molti titoli con caratteristiche simili.
Quello che rende la lettura di Teddy Bob veramente un’esperienza indispensabile è il fatto che Teddy Bob è un fumetto giovane, e parla come parlano i giovani d’oggi (vabbè, di quarant’anni fa, ma è lo stesso!). Purtroppo, visto che ogni tanto l’albo può cadere nella mani di qualche matusa o di qualche giovane non giovane, il linguaggio dei giovani viene regolarmente tradotto con alcune note. Facciamo qualche esempio:
Dentiere[1], Ric Stuart. Dove angelo[2] ti eri cacciato?
– A sudare [3] in una scuderia, Bob!
con le relative note: [1] sorrisi [2] diavolo [3] lavorare
O ancora:
-E’ la figlia del padrone del più bel bisteccone[1] del melone[2]
[1] cavallo [2]mondo
Si intuisce subito che il linguaggio dei presunti giovani è tutto fatto di semplici metafore, piccole metonimie, ovvie iperboli, qualche azzardata ironia. E’ altrettanto palese che nessun giovane ha mai parlato in modo tanto demente, ma è divertente pensarlo.
Lascio per esercizio al lettore di tradurre le seguenti frasi:
– Me ne infischierò dei prepotenti. Sono pronto a guantarli.
– Sono Pasqua per Ric.
– Andiamo a dare una farata nei dintorni.

e il più difficile ma molto sapido:
– Adesso vi faccio assaggiare il mio supersgropp.

Molto interessanti anche le rubriche, in cui Teddy Bob in persona (proprio lui!) risponde ai lettori. Ad esempio dice a Riera Luis di Milano: "Anche per te, dentiere gigantesche! Il tuo annuncio lo passo subito alla rubrica "Hobby". Perché è giusto che tutti i miei amici debbano far crepare la cristantemia!" o a Franco Cicorelli di Montescaglioso :"Benvenuta nel clan, sbarbina! Non occorre essere strani per entrare nel mio baraccone: basta essere giovani e pensare come i giovani", che mi dà un po’ i brividi (anche perché la sbarbina di nome Franco non è una bella immagine). Il povero Fabrizio Polonia di Torino si sente solo: "Mi spiace sapervi cani, ma vedrete che qualcuno vi scriverà. E nelle ore di libera uscita, potete andare a scimmiare e fare qualsiasi cosa per ammazzare la crisantemia!". Sarebbe bello rintracciare queste persone per poterle ricattare: francamente, è assai difficile capire se tutto questo fosse ironico o se si prendessero sul serio. Dal tenore delle lettere più che dal fumetto, temo che la seconda ipotesi sia più probabile. Quindi, giovani d’oggi, prendete appunti: per salvare questo marcio melone dalla cristantemia, non abbiate rotta e andate a scimmiare col vostro baraccone!
Dentiere al neon.

Misteri della vita XXXV

(mi espongo al pubblico ludibrio)
Ma che cos’hanno di tanto riprovevole i calzini bianchi? Personalmente, non li indosso per rispettare una consuetudine sociale, esattamente come al mare uso il costume per coprire le mie pudenda o evito di defecare per strada, ma mi risulta incomprensibile l’accanimento con cui il povero candido indumento viene denigrato.

The asskicker

Sassello, fine anni ’80
Nonna Amelia parla con un’ignota interlocutrice.
– È arrivata quella giostra, come si chiama, il vaffanculo.

C’era una volta un giostraio di Albenga che, ad agosto, quando la Riviera di Ponente si riempiva di turisti danarosi, decideva astutamente di abbandonare quei lidi affollati per "fare la stagione" a Sassello. Saliva sul suo enorme camper, si faceva mezz’oretta di autostrada fino ad Albisola, poi inforcava la statale verso il Piemonte e, giunto nella patria degli amaretti, lì si installava con la sua giostra luccicante coi seggiolini, il cosiddetto Calcinculo, corredato della versione più piccola per bimbi, il punchingball ("Ehi bimbo, torna dalla mamma!") e ammenicoli minori.
Cambio di scena. Luca è un fresco teen-ager. Va alle medie, al massimo al biennio del liceo. È un’età sgradevole, sia per chi la vive che per chi ha a che fare con quelle personcine piene di ormoni. I ragazzi hanno i baffetti e passano ore chiusi in bagno, le ragazze leggono Cioé e si credono già grandi. Difficile capire chi sia peggio, e tutto sommato, io non costituivo un’eccezione.
La mia infanzia in campagna era fatta di scorribande con gli amici, interminabili partite a pallone, passeggiate nei boschi, l’occasionale passatempo inconcludente: quand’ecco che all’improvviso si profila un’attività che appare più interessante; non esiste altro modo di passare una serata differente dallo stare intorno alla giostra che gira, facendovi un giro o due per serata, raramente prendendo il "fiocco" e ascoltando sempre le stesse hit del tempo. Non so quante volte ho sentito Zucchero e il suo mare impetuoso, Vasco Rossi e le sue antipatie per il lunedì, Samantha Fox che implorava di essere toccata e Michael Jackson che dichiarava di essere cattivo.
Certo, per chi ha qualche anno in più e frequenta le città con tutto ciò che esse offrono, può apparire ridicolo che un’attività così ripetitiva e inutile fosse così dominante, e ancora più ironico che la vita di un gruppo di adolescenti girasse intorno ad un oggetto che si chiama CALCINCULO, ma ricordiamoci di inquadrare la cosa nel contesto: un paese di campagna senza nessuna possibilità di aggregazione al di là di qualche bar, un’età in cui si tende a fare gruppo intorno a qualunque cosa (meglio una giostra di un muretto, quindi). E, non nascondiamolo, una certa tendenza a sopravvalutare le proprie esperienze. Qualche sciocco ha detto che il bello dell’adolescenza è che la maggior parte delle cose che si fa la si fa per la prima volta. Ad esempio, passare due mesi intorno ad un calcinculo! [1]
Non sono più stato su un calcinculo da quegli anni. Le mie chiappe ne sono grate.

[1] No, non amo l’adolescenza. Trovo sia un periodo della vita davvero sopravvalutato.

Misteri della vita XXXIV

Perché i nomi di persona sdruccioli risultano quasi sempre comici? Asdrùbale, Adelàide, Agènore, ma persino Césare hanno una vaga componente umoristica. Anzi, perché le parole sdrucciole hanno spesso un’ombra di sentore comico? Il che mi ricorda un aneddoto assai spassoso. Ero in treno che venivo da Alassio a Genova, e una mamma diceva al suo bimbo "Tra poco arriveremo a Brìgnole" (una delle stazioni principali di Genova). Il bimbo, chissà perché, si mise a ripetere "Brignòle", con l’accento errato, solo per far impazzire la mamma.
– Brignòle!
– Si dice Brìgnole!
– Brignòle! Brignòle! Ah,ah!

Trovo adorabili i bambini che rompono i marroni apposta alla gente, e contemporaneamente quando ne vedo uno prendo nota mentalmente di decidermi a fare quell’intervento di vasectomia che rimando sempre.

Quelli che hanno fatto il militare

Come i miei amici e i più affezionati lettori sanno, sono riuscito a dribblare l’Esercito Italiano. Ho avuto la fortuna di essere riformato, ma anche se ai tre giorni avessero deciso altrimenti, avrei comunque scelto il servizio civile, più per motivi etici che per convenienza (non si dimentichi mai che io faccio parte dei Buoni!).
Ascolto quindi sempre con un tocco di curiosità i racconti di coloro che sono stati sotto le armi (sempre più rari) ed ho notato alcune affinità tra di loro.
Quelli che hanno fatto il militare non hanno problemi ad usare il cesso alla turca anche per i bisogni più, ehm, voluminosi: anzi, lo preferiscono perché è più igienico. Io trovo che la tazza sia l’unica possibile argomentazione a favore della superiorità della civiltà occidentale, però io non ho fatto il militare.
Quelli che hanno fatto il militare spiegano sempre con orgoglio di tutti i trucchi che hanno imparato per imboscarsi, per evitare di fare ciò che era loro compito. Io penso che si tratti di un atteggiamento estremamente riprovevole e lesivo per la società nel suo complesso, però io non ho fatto il militare.
Quelli che hanno fatto il militare sanno aprire le bottiglie di birra con una forchetta. In realtà lo sanno fare anche gli scout, ma la cosa non mi stupisce, trattandosi di un’organizzazione paramilitare. Io ritengo che se c’è l’apribottiglie ci sarà una ragione, però io non ho fatto il militare.
Quelli che hanno fatto il militare in fondo in fondo disprezzano i civili. Chi non è buono per il re non è buono manco per la regina, e allora si sentono più uomini. Io ho la convinzione che la virilità non dipenda da aver passato un anno a dormire insieme a gente con i baffi né a saper sparare con un fucile, però io non ho fatto il militare.
Quelli che hanno fatto il militare quando nominano la loro esperienza di naja sputano per terra dal disgusto, però quando attaccano a declamare i loro aneddoti a proposito non la finiscono più. A me pare questo sentimento di disprezzo misto a nostalgia pare assurdo, però io non ho fatto il militare.

Ora il servizio militare non esiste più. Ci avvieremo verso un futuro in cui la gente defecherà seduta, svolgerà i propri compiti, aprirà le bottiglie coi mezzi adatti, non saprà sparare e sarà meno loquace sugli aneddoti su sergenti autoritari. Saranno tempi grami.

Misteri della vita XXXIII

La sfida finale dei “dischi volanti” (la giostra popolare degli anni ’80) era veramente basata sull’abilità dei partecipanti o piuttosto era aleatoria? Tutti usavano la stessa tattica, credendo si trattasse di un segreto vincente: “all’inizio mi abbasso così tutti si sparano sopra tra di loro, poi mi rialzo e ammazzo i rimanenti”. Dubito che quelle macchine fossero talmente elaborate.

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